Chi scrive si è sentito alquanto spaesato, al termine dell’anteprima e della conferenza stampa di Good as You, nel sentire diversi colleghi solitamente attenti liquidare il film piuttosto superficialmente, come se fosse una delle tante commediole italiane forti soltanto della tematica scelta e poi incapaci di proporre uno sguardo nuovo, personaggi incisivi, situazioni coinvolgenti per lo spettatore. A noi sembra che sia l’esatto contrario. La  ‘gaia’ e frizzante commedia diretta, sulla scia di un fortunato spettacolo teatrale, da Mariano Lamberti, possiede infatti una marcia in più. Rappresenta, almeno a nostro avviso, una ventata d’aria fresca, di (auto)ironia e di libertà rispetto a come è stata rappresentata fino ad ora la galassia LGBT nel panorama, da questo punto di vista decisamente asfittico, desolante, del cinema italiano. E le ragioni di questo esito particolarmente felice vanno cercate (anche) nella forma. Una forma che in qualche misura sostanzia l’approccio genuino del film a qualsiasi discorso su gay e lesbiche si volesse intraprendere: montaggio ultra-rapido, attenzione certosina per gli abiti e le componenti scenografiche (in particolare gli interni delle case), simbolismi sulla natura dei personaggi (i costumi dei protagonisti che, nella scena clou della festa in maschera, coprono e rivelano le differenti scelte di vita), struttura narrativa aperta che si allarga e si contrae di continuo, cromatismi esasperati. La forma fa il cinema ladro. Diciamoci la verità, sembra quasi di assistere a una commedia hongkongese o coreana sfacciatamente trapiantata in Italia: la tendenza ad accumulare diversi ipotetici finali e il lato “glamour” di alcuni personaggi remerebbero in tal senso. Uno potrebbe persino avere il classico abbaglio (magari inforcando per errore gli occhialetti destinati al 3D) e scambiare Enrico Silvestrin per l’Andy Lau della situazione. E questo, facezie a parte, secondo noi è un bene, perché contribuisce a svecchiare quell’impalcatura sciatta, omologata e in fondo tradizionalista delle commedie giovanili italiane, atta ad ospitare i più triti stereotipi sull’argomento.
Non che nella “gay comedy” di Lamberti si eviti di giocare con tali stereotipi. Ma ci si gioca, per l’appunto, con una evidente consapevolezza e senza avvallarne i retroscena più torbidi, ma strizzando semmai l’occhio allo spettatore più complice, che si rende conto di quanto sia variegata e ricca di sfumature la galleria di personaggi messa in campo dagli autori. Per condensare ulteriormente le nostre sensazioni a riguardo, abbiamo avuto l’impressione (perdonateci cotanta malignità) di assistere al film che Ferzan Ozpetek vorrebbe girare da sempre, senza che l’impresa gli sia mai riuscita. Ecco, nel caso del cineasta turco naturalizzato italiano lo sguardo sulla comunità gay della capitale (stesso scenario, volendo, di Good As You) si tinge quasi sempre di auto-referenzialità, di ristrettezza del campo visivo, come se si sentisse costantemente il bisogno di dimostrare qualcosa ad un pubblico  etero, perlopiù diffidente se non addirittura  ostile all’ostentazione di una “diversità”. Tali presupposti comportano però lo stare sempre sulla difensiva. Con G.A.Y di Mariano Lamberti la prospettiva risulta in qualche modo ribaltata, perché, per usare le parole dello stesso regista, è come precipitare all’improvviso sul pianeta Marte: i “marziani” di turno, e cioè i protagonisti della pellicola, sono (quasi) tutti gay e non devono star lì a giustificare il loro operato o il loro orientamento sessuale ad un pubblico con preferenze erotiche diverse (i preti e i bigotti direbbero “normali”), ma si limitano a vivere le loro emozioni sullo schermo creando e rompendo legami affettivi, in un modo che può essere talvolta divertente, talvolta toccante, talvolta capace di stimolare riflessioni più profonde.

Non solo il già citato Enrico Silvestrin, ma i vari Diego Longobardi (co-autore dello script e animatore da anni, per conto del Circolo Mario Mieli, delle serate di MUCASSASSINA ritratte anche nel film), Lorenzo Balducci, Daniela Virgilio, Lucia Mascino, Elisa Di Eusanio (uno dei personaggi più azzeccati, il suo, una lesbica dai modi mascolini che stravede per la Roma e per Francesco Totti), Micol Azzurro e Luca Dorigo danno vita ad un gioco delle coppie, partito in quarta dopo l’incontro rocambolesco di tali personaggi a una festa di Capodanno, rispetto al quale ci si rende conto che sia le scene più divertenti che i momenti di empatia suscitati dai personaggi finiscono per trascendere le loro preferenze sessuali, colorandosi invece di una diversità caratteriale che assume molteplici sfumature. C’è il geloso, c’è chi pensa a divertirsi e basta, c’è chi teme le delusioni, c’è la “butch” che si comporta da maschiaccio e si innamora delle etero, c’è chi combatte col problema della sieropositività, c’è la donna etero che non vuole ammettere a se stessa di essere attratta anche da persone dello stesso sesso, c’è il gay più mondano che gioca a fare “la pazza” per divertire gli amici. Sono soltanto alcune delle inclinazioni o dei “modus vivendi” che i protagonisti esibiscono nella loro quotidianità, fatta di relazioni amorose in continuo divenire. Qualcuno si è lamentato del fatto che a suo dire i rapporti tra loro muterebbero con eccessiva facilità, dando l’impressione di una frivolezza di fondo, imputabile magari alle loro scelte sessuali. Interpretazione discutibile. Non è forse vero che le cosiddette “coppie tradizionali” sono in crisi anche nel mondo etero, che si cambia partner più facilmente? E non è ipocrita pensare che tutti abbiano come obiettivo fare “coppia fissa” con qualcun altro, vivere la storia d’amore definitiva, quando l’unica cosa che tendenzialmente dovrebbe essere fissa, e cioè la sicurezza del posto di lavoro, non lo è più già da tempo? Lasciamo quindi ai più biechi moralisti il compito di essere sarcastici nei confronti di una commedia che, al contrario, può risultare gustosa, intelligente e non conformista al tempo stesso. Con buona pace dei fanatici di Militia Christi, i quali, in diretta dal Medio Evo in cui vivono, si sono già espressi contro l’opportunità di mostrare il film nelle sale. Ma per costoro, si sa, l’unico spettacolo divertente sarebbe riesumare i roghi della Santa Inquisizione.