A 32 anni dalla sua scomparsa MARLEY, il film-documentario di Kevin McDonald dedicato al più grande musicista reggae della storia, Bob Marley.

Il regista scozzese (premio Oscar per UN GIORNO A SETTEMBRE), per una scelta di regia, presta la sua telecamera a rari filmati di repertorio relativi ai primi anni della carriera e alle foto dei suoi ultimi giorni, circondato dalle testimonianze degli amici di sempre, testimonianze preziose di una vita in bilico tra mezze verità, bugie,  aneddoti e  racconti edulcorati, spesso alimenati dallo stesso Marley. Nei filmati, accompagnati da canzoni indimenticabili, c’è il Marley adolescente, quello della fine degli anni ’60, delle baracche alla periferia di Trench Town  o quello politico degli anni ‘70 o il Marley re del mondo del reggae, ma anche il Marley che all’apice della sua carriera accetta di diventare spalla dei Commodores per conquistare anche l’appetita fetta di mercato afroamericano fino al 1976 indifferente al reggae, o il Marley che rifiuta di prendere il colore di uno dei due partiti giamaicani che tanto lo hanno corteggiato.

Ben 144 minuti scandiscono questo film-documentario imperniato sul desiderio del regista scozzese di indagare e far emergere il Marley UOMO accanto al Marley ARTISTA.

La prima parte del film è imperniata sulle interviste di quella galleria di amici rasta decisamente più propensi a celebrarne il mito che la concretezza del racconto, interviste piene di un umorismo volontario (o forse involontario?!) che denuncia quale fosse l’entourage culturale in cui è cresciuto Bob Marley; mentre la seconda parte si sofferma sul decennio di produzione discografica di Marley, ricca di aneddoti da backstage in cui emerge il lato più cinico, egoista e competitivo di uno stakanovista con ritmi di lavoro e di organizzazione teutonica, un uomo – padre di 13 figli e marito di 7 mogli- rappresentato nel suo lato umano, quello più privato,  con quella timidezza estrema che incanta, il suo fumare erba e giocare a calcio, fino alla malattia: il cancro e la morte.

Colpisce la scelta del regista di rappresentare la morte di un grande uomo e artista con il disincanto e la solitudine di un uomo qualunque.

A cura di Monica Refe