• martedì 5  giugno 2012
    Musicisti dello schermo:  Alessandro Cicognini
    a cura di Sergio Bassetti
    alle 21.00
    INCONTRO CON MANUEL DE  SICA
    e a seguire “Stazione Termini” di Vittorio  De Sica (1953)


    “Un’avventura di Salvator  Rosa” di Alessandro Blasetti (1940)

05.06.2012
E’ in corso al cinema Trevi una serie  di appuntamenti che mettono al centro dell’attenzione critica la musica per il  film. Curata da Sergio Bassetti, la rassegna Musicisti dello schermo procede a scadenza mensile per giornate monografiche dedicate ai singoli  compositori e musicisti che hanno fatto la storia del nostro cinema. Martedì 5  giugno in programma tre film musicati da Alessandto Cicognini e, alle 21.00, un  incontro con Manuel De Sica. A seguire Stazione Termini di Vittorio De  Sica.
“Uomo per tutte le stagioni”  nel senso più felice e nobile del termine, Alessandro Cicognini (1906-1995) ha  attraversato, da autentico protagonista musicale, un trentennio tra i più  fecondi e variegati del cinema italiano, misurandosi da par suo con i più  disparati soggetti, stili e generi: nessuno escluso, almeno tra quelli  frequentati dalla nostra cinematografia pre e post-bellica. Accostatosi allo  schermo nel 1936 con I due sergenti di E. Guazzoni, Cicognini se ne  ritira spontaneamente nel 1965, a neppure 60 anni, licenziando musicalmente  l’ennesimo, svigorito capitolo della saga di Guareschi: Il compagno don  Camillo, diretto da Luigi Comencini. In mezzo, oltre cento partiture per lo  schermo, tra le quali più di una pietra miliare della musica cinematografica  nazionale. Eppure, a dispetto di tanti risultati importanti e dell’altissima  considerazione goduta anche tra i suoi colleghi, Cicognini, dopo uno slancio  iniziale venato di utopia – testimonierà a Francesco Savio che «si illudeva che  il cinematografo potesse in un certo senso sostituire il melodramma» -, si  mostra via via più disilluso e amareggiato circa il ruolo effettivo che la  musica può svolgere nel tessuto e nell’economia espressiva del film. Fino a che – a metà anni Sessanta, come s’è detto – si ritira dal set confessando poi che «la professione di musicista cinematografico gli aveva riservato molte amarezze,  che talvolta aveva “sfiorato l’infelicità”». Ma questo disincanto non è  esclusivo della fase terminale della sua parabola professionale: caso forse  unico nel cinema italiano, Cicognini mostra di guardare al proprio ruolo e ai  propri lavori – anche i più blasonati, come La corona di ferro (1941), Ladri di biciclette (1948) o Miracolo a Milano (1951) – con senso  autocritico spiccato e quasi abrasivo; come quando ammette dinanzi alle  telecamere della trasmissione Colonna sonora la sostanziale incapacità,  sua e d’altri colleghi, di aver pienamente compreso caratteri e portata del  fenomeno neorealista. Che si sia d’accordo o meno con una così insolita  inclinazione verso bilanci tanto sinceri da suonare impietosi, certo non si può  non riconoscere l’unicità di Cicognini nel porsi criticamente di fronte al suo  artigianato, ed è comunque impensabile liquidarne frettolosamente pagine  musicali di straordinario valore come quelle che troviamo disseminate in film  quali Ettore Fieramosca (1938) o Una romantica avventura (1940), o  ancora Prima comunione (1950), Ulisse (1954) e Il giudizio  universale (1961) con la sua surreale ninna-nanna. Quel che appare chiaro, e  che l’indagine storiografica non tarderà a registrare, a ormai 50 anni  dall’allontanamento di Cicognini dal set e a quasi 20 dalla sua scomparsa, è che  il suo contributo al cinema italiano – per brevità citiamo solo le molte  collaborazioni con Vittorio De Sica e a buona parte della produzione di Blasetti – è essenziale, e di rara qualità. Come già nel 1940 aveva ben compreso Ennio  Flaiano che, recensendo Un’avventura di Salvator Rosa, sulla musica di  Cicognini scrive: «Un cenno a parte merita il commento musicale, ottimo. Questo  film mostra cosa si può fare in Italia quando ad una seria organizzazione si  affiancano degli ingegni agili e sensibili».
Rassegna a  cura di Sergio Bassetti
ore  17.00
Un’avventura di Salvator  Rosa (1940)
Regia: Alessandro Blasetti;  soggetto: da una trama di Ugo Scotti Berni; sceneggiatura: Corrado Pavolini, A.  Blasetti, Renato Castellani; dialoghi: Giuseppe Zucca; fotografia: Vaclav Vich;  scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Gino C. Sensani; musica: Alessandro  Cicognini diretta da Pietro Sassoli; montaggio: Mario Serandrei, A. Blasetti;  interpreti: Gino Cervi, Luisa Ferida, Rina Morelli, Osvaldo Valenti, Ugo Ceseri,  Umberto Sacripante; produzione: Stella Film; origine: Italia; durata:  97′
Napoli. La rivolta di  Masaniello è fallita. Il peso della dominazione spagnola diventa ogni giorno più  insopportabile. Il pittore Salvatore Rosa, conosciuto e ammirato dagli spagnoli,  ha anche un’altra identità, quella di Formica, sorta di Robin Hood che si batte  in favore degli oppressi e trama contro i potenti. «Un’avventura di Salvator  Rosa è prodotto e distribuito nella stagione cinematografica 1939-40, quella  in cui si cominciano a sentire gli effetti del R.D.L. 4 settembre 1938 n. 1398,  sul “monopolio per l’acquisto, l’importazione e la distribuzione in Italia,  possedimenti e colonie, dei film cinematografici provenienti dall’estero”. […]  Tuttavia, all’epoca, fu soprattutto il film di Blasetti a godere di consensi.  Isani […] lo definì addirittura “il miglior film italiano prodotto dal 1930 in  poi» (Gori).
©1939  Stella Film; ©1996 Marzi Vincenzo; ©2004 MARZI SRL
Per gentile concessionedi Ripley’s Film – Ingresso gratuito
ore  19.00
Ulisse  (1954)
Regia: Mario Camerini;  soggetto: dall’Odissea di Omero; sceneggiatura: Franco Brusati, M.  Camerini, Ennio De Concini, Hugh Gray, Ben Hecht, Ivo Perilli, Irwin Shaw;  fotografia: Harold Rosson; scenografia: Flavio Mogherini; costumi: Giulio  Coltellacci; musica: Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio:  Leo Catozzo; interpreti: Kirk Douglas, Silvana Mangano, Anthony Quinn, Franco  Interlenghi, Elena Zareschi, Rossana Podestà; origine: Italia; produzione: Lux  Film; durata: 104′
Mentre ad Itaca Penelope  tiene a bada i Proci, attendendo col figlio Telemaco il ritorno del marito,  Ulisse si sveglia sulla spiaggia dell’isola dei Feaci, incontra Nausicaa e,  ritrovata la memoria, rievoca le sue peripezie. Il re Alcinoo gli dà una nave  per tornare ad Itaca… Alessandro Cicogniniaveva uno stile  che ereditava le marche espressive dell’operismo pucciniano e verdiano che si  ibridava spesso con le note delle canzoni popolare italiane.
ore  21.00
Incontro moderato da Sergio Bassetti con Manuel De Sica
a  seguire
Stazione  Termini (1953)
Regia: Vittorio De Sica;  soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, Luigi Chiarini, Giorgio  Prosperi; dialoghi inglesi: Truman Capote; fotografia: G.R. Aldo [Aldo  Graziati]; scenografia: Virgilio Marchi; costumi: Alessandro Antonelli; musica:  Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio: Eraldo Da Roma;  interpreti: Jennifer Jones, Montgomery Clift, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Nando  Bruno, Enrico Glori; origine: Italia/Usa; produzione: Vittorio De Sica  Produzioni, David O. Selznick; durata: 88′
«Maria, giovane signora  americana, arriva a Roma per trascorrere un periodo di tempo con sua sorella. Ha  lasciato a Philadelphia il marito e la figlioletta. Quando conosce Gianni Doria,  un insegnante italiano, però, si innamora pazzamente di lui e inizia una  relazione con lui. Dopo un mese, in seguito a una telefonata dall’America, Maria  decide di ripartire immediatamente. Gianni la insegue e la raggiunge alla  stazione, chiedendole almeno una spiegazione» (www.cinematografo.it) . «In effetti, questo  primo tentativo di grande cinema commerciale si configura per De Sica come un  compromesso a tutti i livelli. Per i dialoghi inglesi fu chiamato a seguire il  film Truman Capote e perfino per le inquadrature in primo piano di Jennifer  Jones, Selznick pretese che ci fosse un operatore speciale, Oswald Morris,  mentre Aldo Graziani si doveva occupare dei campi lunghi. Eppure, De Sica è  riuscito lo stesso ad imprimere al film un suo tono. Intanto ha colto, di tutta  la storia d’amore, il momento più significativo, più intenso, concentrando la  messa in scena sulla crisi morale-affettiva prodotta dalla drammatica  indecisione di Mary, giovane signora americana in viaggio in Italia, madre di  una bambina e colpita dal fulmine di un amore italiano […]. Dalla parte della  regia, invece, De Sica sfodera tutta la sua maestria nell’uso del tempo, in quel  suo modo specifico di adeguarlo, di compenetrarlo ai fatti, anche piccoli, in  modo da trasformare i personaggi in esseri viventi. Sicché, al di là delle  “sciocchezze” che la signora di Filadelfia e il giovane italiano (figlio di  un’americana) si dicono, resta un sentimento profondo, che scaturisce da quel  tempo trascorso insieme lì nella stazione in attesa del treno. È un sentimento  di speranza, di attaccamento ad una realtà sognata, una realtà che si desidera  diversa e che non si trova il modo di costruire veramente» (Pecori). «Il film  tutto intero è una metafora o piuttosto lo svolgimento immaginario di una realtà  spirituale» (Henri Agel).
Ingresso  gratuito