C’è un film spagnolo che, girando per festival, sta conquistando gli appassionati del genere apprestandosi a diventare un piccolo,  grande “cult”. Si tratta di Lobos de Arga (Lupi in Galizia, nella traduzione italiana) dello spagnolo Juan Martínez Moreno. Purtroppo al momento la pellicola non viene distribuita nel nostro paese. Ma noi, per gustarcela, abbiamo approfittato di entrambe le occasioni messe a disposizione del pubblico capitolino. La prima vetrina utile è stata rappresentata a Roma da CinemaSpagna, Festival del cine español svoltosi nell’Urbe tra il 4 e il 10 maggio: una variegata e succosa rassegna che ci ha permesso di conoscere meglio gli norizzonti attuali della cinematografia iberica, tant’è che contiamo di tornare presto tramite RomaLive su alcuni degli eventi che ci sono rimasti maggiormente impressi. Non paghi di questo, siamo tornati a vedere Lobos de Arga al successivo Fantafestival, sfruttando così l’opportunità di incontrare dal vivo Juan Martínez Moreno, il quale si è dimostrato per giunta assai simpatico: sua la trovata di intrattenere il pubblico con un piccolo quiz sui lupi mannari e di regalare ai vincitori alcune copie della “graphic novel”, alla quale è collegato il film, tutto ciò dopo esser stato informato che la proiezione avrebbe avuto un certo ritardo per colpa di problemi tecnici. Ma a parte questi indizi sull’estrosa personalità dell’autore, indizi quanto mai pertinenti, cosa ha rivelato di tanto speciale l’opera del regista spagnolo da tenerci incollati alle poltrone per ben due serate, a distanza di poche settimane l’una dall’altra? Innanzitutto uno humour irresistibile, coniugato poi con la volontà di riproporre in chiave ironica l’horror, il “mistery”, ovvero quel territorio del fantastico sempre più ancorato nelle produzioni odierne  allo strapotere del digitale e del budget, esaltandone invece la dimensione artigianale di una volta.

Il buon Juan Martínez Moreno ci ha tenuto anche a precisare che Lobos de Arga, per quanto si rida parecchio, non è una parodia. E infatti, pur con una componente splatter meno tendente al macabro e con una vena comica maggiormente accentuata, a noi ha persino ricordato il neozelandese Black Sheep di Jonathan King, film in cui battute folgoranti e divertentissime accompagnavano una trama orrorifica non priva di raccapriccianti mutazioni. La pellicola spagnola è più dichiaratamente una “dark comedy” che gioca liberamente col mito del licantropo, irridendo a modo suo sia le leggende sui lupi mannari che certi elementi della società iberica di provincia, senza però rinunciare a un’accettabile costruzione della suspance. Il pretesto è dato dal ritorno del giovane Tomás (uno spigliato Gorka Otxoa), nella cittadina della sua infanzia, per l’appunto Arga, dove cento anni prima erano state poste le basi di una terrificante maledizione. Lo scalcinato e mediocre scrittore è convinto di esser stato invitato lì per ritirare un fantomatico riconoscimento culturale. Si troverà invece coinvolto, assieme al suo spiantato editore, ad un altrettanto pittoresco amico di vecchia data e al proprio cagnetto, bravo quasi quanto quello che abbiamo visto all’opera nel premiatissimo The Artist, in un’avventura dai contorni surreali foriera di brividi ma soprattutto, come abbiamo in parte anticipato, di sane e fragorose risate. Oltre alla brillante sceneggiatura, in cui certi dialoghi al fulmicotone spiccano di netto, e ad una concezione degli effettispeciali e del make up quasi commovente, nel riportare il look delle creature e altri elementi orrorifici tra cui le stesse urla dei licantropi alla tradizione più genuina del genere, va elogiata un’altra scelta vincente: quella degli attori, con un plotoncino di caratteristi di gran classe che danno nerbo al racconto rendendone credibile il taglio da “horror comedy”.