Shutter Island
Il regista dai finali imprevidibili, aperti e che fanno riflettere il pubblico, lasciandolo discutere sulle possibili interpretazioni. Martin Scorsese ama ormai lasciare le platee a bocca aperta, stordite ed insicure sul fatto di aver afferrato bene il senso del film e Shutter Island ne è la conferma.
Una pellicola avvincente che lascia spazio a dubbi e riflessioni filosofiche. Leonardo Di Caprio ne ha fatta di strada dai tempi di Titanic ed è passato dall’essere identificato con la figura dell’eterno naufrago ad assumere ruoli sempre più machiavellici e a tratti quasi dark. All’ epoca della Guerra Fredda, i due agenti federali Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio) e il suo nuovo partner Chuck Aule (Mark Ruffalo) si trovano ad indagare sulla misteriosa fuga dall’impenetrabile manicomio criminale di Ashcliffe di una plurinfanticida, Rachel Solano. Le indagini si fanno sempre più complicate, ostacolate anche dal direttore dell’ospedale, il Dottor Cawley che dietro il rassicurante sorriso da psichiatra professionista e la calma serafica sembra celare segreti e piani per lo studio della psiche umana ai limiti della legalità. In un susseguirsi di inquietanti scoperte e l’arrivo di un inaspettato uragano, che non gli permette di lasciare l’isola, l’agente Daniels perde il controllo della situazione, precipitando in un vortice oscuro dove il confine tra luce ed ombra diventa sempre più sottile e sembra coinvolgerlo sempre più da vicino. Tra continue visioni e tentativi di fuga da quella che sembra essersi tramutato nella sua prigione, Leonardo Di Caprio perde il senso della realtà, lottando con un passato che emerge prepotentemente e il confronto con le sue paure più profonde.
Un film coinvolgente, a tratti inquietante. Scorsese è bravo ad indagare gli aspetti più reconditi dell’animo umano, a tracciare un ritratto della psiche umana, confusa, censurata e incomprensibile. Niente è come appare, sembra volerci sussurrare all’orecchio, provocandoci un brivido e un profondo senso di ansia.