Dovrebbe uscire alla fine di luglio il nuovo film di Jaume Balaguerò, che nel frattempo sta compiendo  il suo percorso anche a livello festivaliero, col Torino Film Festival edizione 2011 di certo in primo piano, facendosi amare da pubblico e critica per la capacità di generare un genuino turbamento. Bed Time, il cui titolo spagonolo è Mientras duermes, rappresenta del resto un thriller psicologico di quelli che scavano un’impronta profonda nella psiche dello spettatore, giocando abilmente sui suoi timori più reconditi (la vulnerabilità durante il sonno, per esempio) e sul venire meno di determinate sicurezze. L’anteprima romana del film ci ha posto quindi di fronte un autore enormemente maturato, negli ultimi anni. Se agli esordi pellicole come Nameless – Entità nascosta (1999) e Darkness (2002), guardate con estremo favore dalla stampa e dal pubblico iberico ma accolte positivamente anche in Italia, ci erano parse alquanto sopravvalutate, il successivo percorso di Balaguerò negli oscuri meandri dell’horror non ha fatto altro che rivelare una crescita costante. Da Fragile (2005),  sottostimata e agghiacciante incursione nella “ghost story” di ambientazione britannica, fino al fortunato esperimento rappresentato da [REC] (2007) e portato avanti (con tanto di “sequel”) con l’aiuto del co-regista Paco Plaza, la parabola del cineasta spagnolo si sta diversificando in maniera ammiccante e tutto sommato anche intelligente. Che sia finalmente arrivato, con Bed Time, il momento della consacrazione?

Il film in questione, Bed Time, è la rielaborazione fortemente ansiogena ma con venature alquanto grottesche di un soggetto dello scrittore e sceneggiatore Alberto Marini, che inizialmente avrebbe dovuto anche dirigerlo, preferendo poi cederlo all’amico Jaume Balaguerò che aveva mostrato un notevole entusiasmo per il racconto. Mai scelta fu più indovinata. Balaguerò ha saputo infatti creare una tensione morbosa e continua intorno alle quotidiane cattiverie del protagonista che, una volta tanto, non è dedito a omicidi seriali, torture, efferatezze varie. La crudeltà di tale personaggio, soprattutto psicologica, si esprime sottotraccia. Ma non per questo è meno implacabile. Ed ha le sue radici nella depressione così come in frustrazioni di antica data. Ricorrendo ad un’espressione senz’altro abusata, potremmo anche definirla: “la banalità del male”. Già, perché César (interpretato da un intenso Luis Tosar) è il classico personaggio che può nascondersi nella folla, tendenzialmente anonimo e mediocre, al punto che persino la sua predisposizione al vizio potrebbe non sfociare mai nell’omicidio, se le circostanze non ce lo portassero di peso. In sostanza il tetro e subdolo César interpreta il proprio ruolo, quello di portiere di un vecchio stabile, alla sua maniera, e cioè tormentando di nascosto le vite più o meno serene di diversi condomini, in particolare quella della solare, graziosa e sempre sorridente Clara (Marta Etura), rea ai suoi occhi di condurre un’esistenza fin troppo felice. Le intrusioni nella vita privata della ragazza, compiute di nascosto, si faranno sempre più crudeli e pesanti. Fino ad una escalation drammatica da brividi. Ecco, partendo da una dimensione della collettività (il condominio, col ritratto sarcastico e spietato di alcuni dei suoi abitanti) che può ricordare addirittura la vena misantropica del precedente film di Alex de la Iglesia, La Comunidad, ma con un dosaggio infinitamente più basso di humour, Balaguerò sa conferire spessore a un thriller morboso, perverso, dalle molteplici suggestioni; alcune delle quali, peraltro, ci sono sembrate degne di un De Palma d’annata.