Nel ricordo di Francesco Novello. Così è cominciata a Udine la quattordicesima edizione del Far East Film Festival, un’edizione che, come detto in qualità di presidentessa dalla stessa Sabrina Baracetti, è dedicata quest’anno proprio a lui, Francesco: organizzatore amatissimo dai colleghi e dagli ospiti della manifestazione cinematografica affermatasi, in questi anni, grazie anche all’impegno costante di persone appassionate, volenterose, come lui era. Francesco ci ha purtroppo lasciati pochi mesi fa, in seguito a una malattia. La serata del 20 aprile ha visto quindi sovrapporsi alla malinconia e alla dolcezza di tale doveroso omaggio una vera e propria esplosione di vitalità, dovuta ai siparietti musicali e ai momenti di danza portati sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine per introdurre il film d’apertura: Sunny , opera seconda del lanciatissimo regista sudcoreano Kang Hyung-chul.
Al termine della proiezione il pubblico ha reagito con un fragoroso, calorosissimo applauso, il che non ci stupisce trattandosi di una commedia decisamente colorata, vivace e accattivante. Vi si racconta del ritrovarsi, nella Seoul di oggi e a distanza di parecchio tempo dal loro primo incontro, dialcune ragazze che negli anni ’80 avevano formato una piccola gang, quando frequentavano tutte il liceo femminile Jindeok. In realtà non si fanno attende, nel corso della visione, certi scivoloni nel patetico e altre prolissità che rendono la durata del film un po’ eccessiva. Restano nella memoria dello spettatore più esigente alcune sequenze girate con una indubbia creatività, rese poi più frizzanti dalla colonna sonora giusta, come quella in cui una
dimostrazione sfociata in scontri tra la polizia e i manifestanti viene coreografata in modo pittoresco, a metà strada tra musical e film di arti marziali.

Più intrigante, a livello cinefilo, la seconda proiezione della serata, sebbene il noir giapponese grottesco e ultra-violento messo in programma per dare una buonanotte pepata al pubblico di Udine, un classico (ma neanche troppo) film di yakuza,  vendette personali, traffici illeciti e indagini poliziesche, abbia mostrato anch’esso qualche limite, nella sua natura derivativa. Ci è parso pertanto accattivante e discreto Hard Romanticker di Gu Su-yeon, regista che pare abbia una conoscenza diretta di alcune delle situazione, poi estremizzate, da lui introdotte nel film. Ci si lascia attrarre dalla rabbia, dall’orgoglio e dal distorto codice d’onore che trapelano dalle truculente imprese del protagonista, un biondo rissoso che sa muoversi bene nei meandri della mala giapponese, anche se alla lunga lo stile del film resta un po’ troppo ancorato alla poetica di maestri del genere come Miike e Kitano. Ad ogni modo memorabili alcune scene, tra cui quella in cui il protagonista prova pateticamente a rialzarsi e combattere, mentre gli avversari cominciano già ad ignorarlo, senza infierire fisicamente su di lui, ferito, ma demolendone in qualche misura il mito.