Le grandi manovre di Distribuzione Indipendente proseguono. Dopo aver contribuito a riportare in sala film come Dorme di Eros Puglielli e Sleeping Around di Marco Carniti, dopo aver sdoganato lungometraggi e documentari indipendenti fino ad ora ignorati dal circuito più “mainstream”, la neonata distribuzione ci ha fatto ora conoscere il primo dei vari pacchetti di cortometraggi inclusi nel suo listino. Dal 24 febbraio 2012 un elettrizzante blocco di corti horror/thriller e fantascienza, ribattezzato Pacchetto Viola, è stato infatti distribuito nelle sale del circuito di Distribuzione Indipendente e, contemporaneamente, on demand sul portale Own Air. (www.ownair.it) Il primo degli autori che hanno beneficiato di questa iniziativa è, in realtà, una nostra vecchia conoscenza, trattandosi di quel Michele Pastrello che abbiamo già intervistato circa un anno fa, proprio sulle pagine di RomaLive. Dei tre corti inseriti nel Pacchetto Viola il suo Ultracorpo 2011) è senz’altro la proposta più anomala e fuori degli schemi, quantomeno come collocazione di genere. Riguardo poi alla sua riuscita, non possiamo far altro che ribadire il buono da noi già pensato e messo per iscritto a suo tempo. L’autore si permette qui il lusso di citare un “cult” come L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel, classico della fantascienza americana anni ’50. Ma sembra che lo faccia solo per il gusto di stabilire un parallelismo, quello tra l’immaginifica espropriazione dei corpi nel lungometraggio di Siegel e la precaria consapevolezza del proprio corpo, da intendersi anche come orientamento sessuale, rivelata ben presto e
con esiti angoscianti dal protagonista del corto. Non mancano nemmeno chiare allusioni al sociale: la cornice è infatti quella delle tante, troppe aggressioni ad omosessuali avvenute, soprattutto negli ultimi anni, in un’Italia tendenzialmente oscurantista, chiusa, bigotta. Anche i cittadini di Roma ne sanno qualcosa. Protagonista di Ultracorpo è Umberto (interpretato dall’ottimo Diego Pagotto), un disoccupato che si è messo, pur di sbancare il lunario, adaccettare piccoli lavori presso privati; per esempio riparare le tubature di un fatiscente appartamento, il cui proprietario (Felice C. Ferrara, anche lui decisamente in parte) ha deciso di non
celare affatto il proprio insistente interesse per l’altro. Ne scaturisce un rapporto di seduzione/repulsione, destinato con ogni probabilità ad esplodere in modo traumatico. Corpi che si cercano, corpi che si respingono: l’autore è bravissimo a giocare con un immaginario “politicamente scorretto”, interponendo tra i personaggi stralci di visionarietà (sostanzialmente riusciti persino i rischiosi ritocchi in digitale) per approdare poi alla densità materica del corpo ferito, forte dell’appoggio incondizionato offertogli dagli interpreti principali, tutti e due assai convincenti.
La visionarietà prende altre vie negli ultimi due cortometraggi inclusi nel pacchetto, legati entrambi a un immaginario fantascientifico rivisitato posizionando il mirino sui classici del genere; ma ciò si realizza tramite un’impronta personale ed artigianalmente creativa, nel concepire la messa in scena, che riesce a compensare, con classe, le limitazioni di budget. Nel lavoro di Giacomo Cimini, ad esempio, l’immagine della terra del futuro popolata da umani, androidi e cloni dall’identità talvolta incerta, con paesaggi post-industriali che alludono a città ormai abbandonate e coltri di smog perenne intorno ai rimasugli della città, può far pensare ad autentici “cult movies” come La fuga di Logan e Blade Runner. Da quest’ultimo sembrerebbe quasi uscir fuori l’aggraziata figura di androide dai lineamenti orientali interpretata, con la consueta bravura, da Valentina Izumi. Tra situazioni grottesche e virate sentimentali, l’incontro di lei con altri sbandati in un futuristico e alquanto sgarrupato albergo appassiona realmente in questo cortometraggio, La città del cielo (2009), presentato a Venezia senza forse ricevere la considerazione dovuta per essere poi ricompensato, nel gennaio 2010, con una diffusione su iTunes tale da fargli raggiungere il terzo posto nella classifica dei film più visti dopo Avatar e Iron Man. Venendo infine a Pathos di Dennis Cabella, Marcello Ercole e Fabio Prati, l’impianto scenografico che anche nell’altro corto rivelava un discreto appeal diventa qui fondamentale, regalando al protagonista e agli spettatori un plot essenziale ma dal carattere sempre più angosciante, claustrofobico, kafkiano. E così ci troviamo coinvolti insieme al protagonista, peraltro bravissimo, nella progressiva perdita dei cinque sensi: non c’è che dire, un incubo perfetto.