Se Il grande dittatore realizzato nel 1940 da Charlie Chaplin era esplicitamente ispirato ad Adolf Hitler, la spassosa caricatura del tiranno di Sacha Baron Cohen, dalla lunga barba nera e in uniforme militare con tanto di spallucce scintillanti, è un mix che contiene elementi di Hussein, Khomeyni e  Gheddafi.

Ambientata inizialmente nel paese nord africano ricco di petrolio di cui il protagonista Aladeen è temuto leader supremo, l’azione si sposta successivamente negli Stati Uniti per un congresso  ONU, in modo che il gustoso racconto parodistico iniziato all’interno dello stato totalitario possa sconfinare ed intrecciarsi con una ancor più succosa satira anti-occidentale. In analogia con la pellicola di Chaplin, dove le vicende del fuhrer si intersecavano con quelle di un barbiere ebreo che gli somigliava, anche Aladeen ha un sosia (Efawadh) che in maniera spiccatamente comica rappresenta l’antitesi del tiranno.

La squadra dei collaboratori è ben consolidata: ovviamente non parliamo dei collaboratori del dittatore, sempre pronti al complotto e al tradimento, ma di quelli che circondano Sacha Baron Cohen, ormai da tre lungometraggi. Come nelle riprese incentrate sull’immaginario reporter kazako Borat (2006) e in quelle sull’eccentrico stilista  omosessuale Bruno (2009), a firmare la regia è sempre Larry Charles, le musiche sono ancora di Erran Baron Cohen (fratello maggiore dell’attore), mentre sceneggiatura e produzione sono affidate allo stesso affiatato gruppetto di soli uomini, tra cui figurano Alec Berg, David Mandel, Jeff Schaffer e naturalmente Sacha Baron Cohen. Nemmeno la presenza di Sir Ben Kingsley (che nel film è Tamir, lo zio del dittatore) rappresenta una novità assoluta per il nostro, che ha conosciuto il grande attore britannico e lavorato con lui in Hugo Cabret.

Il ruolo della protagonista femminile Zoey è affidato a Anna Faris, che nel film gestisce il Collettivo Terra Libera, negozio di alimenti salutari a Manhattan, e si innamora di Aladeen. Questo è forse il punto più banale della sceneggiatura, quello in cui la storia sembra avvicinarsi a Il principe cerca moglie di John Landis, ma il film ben presto riprende quota, in senso letterale, con Sacha Baron Cohen ad altezze vertiginose fra i grattacieli della Grande Mela, impegnato a raggiungere clandestinamente il congresso ONU e ad offrirci al contempo una divertente scena di nudo integrale, come del resto ci aveva ampiamente e senza remore abituato in Bruno.

Il film è talmente pieno di gag (esilarante la scena della scoperta della masturbazione) che nemmeno i titoli di coda sembrano contenerle: gli sketches continuano anche dopo l’epilogo. Ma la comicità non è fine a se stessa, contiene spunti di riflessione anche importanti che non la fanno scivolare nella volgarità. Visione vivamente consigliata, soprattutto agli aspiranti dittatori.

A cura di Lady L. Hawke