Come ci eravamo ripromessi da tempo e come avevamo in parte anticipato, al momento di recensire lo strepitoso Lobos de Arga (“Lupi in Galizia, 2011”) di Juan Martínez Moreno, è nostra intenzione spendere due parole su CinemaSpagna Festival del Cine Espanol, la rassegna cinematografica tutta incentrata sulle novità della produzione cinematografica iberica che è andata in scena, ai primi di maggio, nella festosa cornice offerta da un cinema Farnese spesso strapieno. In quella occasione avevamo seguito diverse proiezioni ma non avevamo avuto modo di riportare subito le nostre impressioni, vista la concomitanza di molti altri eventi culturali attinenti al cinema e al teatro, perciò abbiamo scelto un periodo relativamente più tranquillo, come quello estivo, per approfondire; e lo facciamo proprio a partire dalla giornata inaugurale, quella del 4 maggio, che aveva visto quale evento di punta la proiezione del thriller No habrá paz para los malvados, alla presenza del regista Enrique Urbizu e del protagonista José Coronado.
Scelta accattivante, trattandosi di un film che in Spagna è stato innanzitutto un grande successo di pubblico, suscitando poi, per la sua morale indubbiamente cinica, cattiva, disturbante, polemiche e attestati di stima quasi in egual misura, sia da destra che da sinistra. Ne è protagonista Santos Trinidad, autore all’inizio della pellicola di una strage tanto feroce quanto immotivata in un night club di Madrid. Il prosieguo della storia pone in parallelo le azioni ugualmente violente operate dallo stesso soggetto per occultare le prove della sua colpevolezza, il lento ma inesorabile progredire delle indagini poliziesche a riguardo, ed il sospetto sempre più forte che tutto ciò abbia qualche remoto collegamento con un gruppo terroristico, pronto a insanguinare la capitale spagnola con terrificanti attentati.
Se il film scelto per l’apertura ha messo in mostra evidenti pregi, come la tensione costruita intorno alle scene propriamente di genere, ed una ambiguità etica di fondo che non ha lasciato tutti soddisfatti, bisogna dire che l’estrema disponibilità del regista e dell’interprete principale a parlare col pubblico dopo la proiezione, dicendo peraltro cose assai interessanti, ha offerto diversi spunti di riflessione. Così come è da elogiare la passione riversata dai giovani organizzatori di questo festival, piccolo ma pieno di calore, nel gestire simili eventi. Chi invece non si è dimostrato affatto degno di elogi, semmai di disgusto e di aspri rimproveri, è il pubblico che quella sera affollava il Farnese: un pubblico composto perlopiù di gente vestita griffata, dall’aria un po’ snob, in ghingheri e fiera di esserlo, ma capace di un’arroganza e di una maleducazione praticamente senza limiti. Questi “pariolini bifolchi” (non ci viene da chiamarli diversamente) si sono permessi addirittura di interrompere la performance musicale del maestro Louis Siciliano, posta prima della proiezione, con una lunga serie di schiamazzi, risatine isteriche, fischi e applausi di scherno nei momenti più intensi dello spettacolo. Il musicista non ha potuto far altro che interrompere il pezzo che stava suonando, congedandosi poi con un certo stile. Il sottoscritto invece, esasperato da tanta agiata ottusità, ha aspettato il momento in cui la sala si è ricomposta e silenziata, per gridare da solo: “Pubblico di merda!” C’è da dubitare che spettatori tanto beceri abbiano colto la sottile citazione presente in questa uscita, ma è stato ugualmente bello ammutolirli così.