L’intesa sulla legge elettorale in linea di massima ci sarebbe, ma solo se si voterà a novembre. Così il Pdl detta le sue condizioni ai democratici e tenta di chiudere la partita al più presto. Una spinta sull’acceleratore che non può che destare sospetti, specie se Silvio Berlusconi si precipita dalla Sardegna chiamando a rapporto i suoi: Alfano, Verdini, Ghedini, Bonaiuti. Cosa bolle in pentola, lo spiega Carmelo Lopapa, dalle colonne del quotidiano la Repubblica: sul Cavaliere incombe il rischio sempre più concreto di una condanna in primo grado nel processo Ruby. La scure potrebbe arrivare tra novembre e dicembre e il candidato presidente si troverebbe a condurre una campagna elettorale con una macchia così infamante sulla sua immagine.
Già nei giorni scorsi il Giornale, aveva raccontato dei timori dell’ex premier, nel caso in cui si fosse deciso a scendere in campo. Quelli su nuove inchieste contro di lui a Napoli e Bari. Se i retroscena formulati da Lopapa fossero veri allora sarebbe anche vero che Berlusconi ha sciolto le sue riserve sulla sua ricandidatura. Ma sul quotidiano di famiglia, Adalberto Signore, lo vede ancora incerto.
Il Cavaliere che prende tempo, dunque. Intanto però, secondo Lopapa, Berlusconi sta facendo le sue mosse per approvare la legge in pochi giorni, anche alle condizioni del Pd a patto di convincere Monti e Napolitano. E proprio con il Colle si starebbe svolgendo la trattativa più delicata. L’uomo giusto, come sempre, è Gianni Letta che nel pomeriggio di martedì, dopo l’incontro a Palazzo Grazioli, si è recato in via informale al Quirinale per informare Giorgio Napolitano che il Pdl è disponibile alla bozza quasi concordata col Pd: piccoli collegi, premio di maggioranza del 15% al partito che ottiene più voti, sbarramento del 5% alla Camera e dell’8 al Senato, seggi assegnati per un terzo con liste bloccate e due terzi con preferenze multiple. Il patto però è che tutto avvenga in pochi giorni: per poter votare a fine novembre la riforma dovrebbe essere approvata dalle due Camere entro il 30 settembre. Ma, scrive Repubblica, “mai il Colle potrebbe avallare un condizionamento del genere. E’ un netto rifiuto di cui al quartier generale berlusconiano devono prendere atto”.
Tanto più se al Pd, come dicono, non ne sanno nulla. Pierluigi Bersani sarebbe fortemente contrario: “A questo capestro il partito non può sottostare”. E l’Udc dice di non essere stato interpellato da nessuno. Casini, lo sottolinea: “Siamo contenti di essere fuori da questi giochi”. Intanto le notizie giungono fino all’orecchio di Mario Monti, in partenza per Berlino. Il premier si è detto preoccupato perché “un eventuale voto anticipato danneggerebbe il progetto di rilancio dell’economia”. Il professore è convinto di poter raggiungere con Angela Merkel un’intesa sul tetto anti-spread, nonostante le ostilità della Bundesbank. Ma i timori tedeschi sono fondati proprio sul futuro italiano del dopo-Monti e un voto all’italiana con una nuova frammentazione dello scenario pubblico, all’indomani delle elezioni, sarebbe una iattura per la stabilità della moneta unica.
Intanto, oggi al Senato si riunisce il comitato ristretto della Commissione Affari Costituzionali, ma in molti temono una fumata nera. La distanza tra i partiti resta e i due relatori Enzo Biano (Pd) e Lucio Malan (Pdl) hanno già annunciato che metteranno sul tavolo un “Documento che evidenzia i punti di intesa e quelli critici, così che i lavori possano proseguire più speditamente”. Ma è un bluff e il comitato ristretto che doveva rappresentare una corsia preferenziale, si sta trasformando in una trappola.