Prendendo il sopravvento su una intensa giornata di traffico, determinata anche da scioperi e manifestazioni, due inviati a loro modo speciali di Romalive sono riusciti faticosamente ad avventurarsi sulla Casalina e a raggiungere per tempo il Teatro Studio Uno di Roma, dove è in programma fino a domenica questo doppio, sapido appuntamento con la compagnia DionisoinDemetra. Due spettacoli brevi, diversi tra loro, ma con una tensione interna costante. Ed entrambi sono piaciuti parecchio sia a Stefano Coccia e Lucilla Colonna, per cui la decisione di recensirli separatamente e con la seguente “spartizione” è nata così, seguendo gli umori del momento. Ovvero, quando si era quasi sul punto di tirare fuori la tradizionale monetina…
“sENZA nOME” di Greta Agresti
Come in un “blob” allucinato e sottilmente perverso, su uno schermo piazzato di fronte al pubblico scorrono le immagini di ipotetici telegiornali e programmi televisivi di vario genere: un flusso continuo di demenza in cui la tragedia, la farsa e le peggiori frivolezze si susseguono senza soluzione di continuità. Tali sketch sono stati ripresi e montati da Anjan di Leonardo con tanto di correzione quasi subliminale sui volti dei personaggi, il cui significato apparirà con maggior evidenza al termine dello spettacolo. Pare inoltre che questa parte video non comparisse nelle prime rappresentazioni dello spettacolo, già messo in scena al Cineteatro di Roma. Adesso sarebbe difficile immaginarlo senza.
Dopo l’intro, però, il televisore figurerà rivoltato verso il fondo della sala dove,
proprio al centro della scena, lo spettatore “privilegiato” dell’ipnosi televisiva diventa un uomo imbavagliato e incatenato alla sedia. Il prigioniero, impersonato intensamente nella sua forzata immobilità da Maurizio Sacchetti, è destinato a ricevere le visite di altri soggetti interpretati alternativamente da Greta Agresti (autrice anche del testo) e Carlo Disint, che a un certo punto faranno coppia sul palco: due figure di seviziatori che sanno anche tentare, vestendo di volta in volta i panni della hostess di una spregiudicata compagnia aerea, dell’uomo duro che richiama l’altro a comportamenti virili, dei due viscidi alfieri di schieramenti politici solo a parole contrapposti. E nel mezzo altri personaggi ancora, tutti pronti a vessare fisicamente e psicologicamente l’oggetto delle loro attenzioni, stordito inoltre dalle immagini cui è costretto comunque ad assistere. L’intento metaforico è palese. Ma è anche la sobria, inquietante essenzialità della messa in scena, caratterizzata poi dalle macchie di sangue che coprono il corpo della vittima dopo ogni incontro, dopo ogni visita, ad assicurargli la giusta incisività.
In un gioco altrettanto sanguigno di rim
andi dell’immaginario, la situazione stessa con la sedia del prigioniero circondata dall’oscurità ci ha fatto pensare istintivamente alla copertina di un bel romanzo di Fabio Viola, Gli intervistatori, che a sua volta ci aveva evocato tutto un mondo di snuff movies, distopie, atmosfere lynchane. Piccoli scherzi dell’immaginazione, che però la dicono lunga sulla cupa carica seduttiva dello spettacolo conciso e angosciante cui abbiamo assistito.
STEFANO COCCIA
“Nina e Marta” di Stella Novari
Dopo aver impersonato una delle due sorelle che pianificano di uccidere la loro padrona ne “Le serve” di Jean Genet, Annalisa Lori raccoglie in una coda i capelli biondo cenere e torna a indossare i panni della domestica, diretta dalla stessa regista Greta Agresti. Sulla scena insieme a lei c'è Stella Novari, che già annoverava nel curriculum un altro ruolo di carnefice e qui, oltre ad essere autrice del testo, è la padrona.
L'iniziale netta contrapposizione delle due donne -la prima vestita di bianco, la seconda di nero- pone l'accento sulla diversa estrazione sociale e sulla distanza anche fisica, apparentemente incolmabile. Tuttavia, nello scontro dialettico tra la signora rabbiosamente depressa e volontariamente reclusa in casa e la domestica sempre puntuale e volenterosa nello svolgimento dei propri compiti, si intravede da subito un elemento capace di rimescolare le parti: la volontà. A cosa serve possedere una casa se non si ha il dominio della propria volontà? Sulla scia della concezione hegeliana, dapprima la padrona domina la serva come strumento per operare sulle cose, ma poi la serva nel lavoro acquista consapevolezza di sé, arrivando a conquistare un orizzonte superiore di oggettività e libertà. Nello spazio quotidiano necessariamente comune, gli oggetti partecipano a questo ribaltamento e al conseguente avvicinamento delle due donne: bere il latte insieme segna la rinascita del rapporto, salire in piedi sul divano modifica il punto di vista, scambiarsi i vestiti suggella la
complicità.
A questo punto entra in campo l'ambiguità, il gioco erotico, e il rimescolamento prosegue su un piano diverso, diventa ribaltamento fra essere e apparire, fra realtà e immaginario. Con intensa espressività e incalzante alternanza di emozioni, Stella Novari e Annalisa Lori recitano ciascuna il ruolo di un personaggio che a sua volta recita una parte. Tutto viene rimesso in discussione, fino addirittura a scoprire la vena poetica di Marta. Possibile che stia giocando a fare la virtuosa, magari solo per assomigliare alla “Pamela” letteraria di Samuel Richardson?
LUCILLA COLONNA