Proteina P53 sotto la lente di ingrandimento: ha un ruolo fondamentale nell’arresto della crescita del tumore. Un’intuizione, questa, che il mondo scientifico ha avuto già intorno alla metà degli anni ‘90. Da allora equipe di studiosi appartenenti ai principali centri di ricerca oncologici del mondo hanno orientato le loro indagini in questa direzione. In prima linea, anche un istituto di ricerca italiano: il Polo Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, che ieri mattina, presso la sala Pietro da Cortona in Campidoglio, ha presentato i risultati del V Congresso Internazionale sul ruolo delle alterazioni della proteina P53 nell’insorgenza del tumore.

Organizzato nelle sue precedenti edizioni presso autorevoli istituti di ricerca, quali  l’Istituto Weitzmann di Israele – fra i più importanti centri di indagine biomedica al mondo – e l’International Agency for Research on Cancer a Lione, quest’anno per la prima volta  il simposio scientifico ha trovato sede in Italia, a Palazzo Chigi ad Ariccia, raccogliendo attorno a sé medici e ricercatori provenienti da prestigiose università a livello internazionale.

 Tre giorni di convegno, durante i quali sono stati discussi i principali risultati conseguiti fino a questo momento. Gli studi condotti sinora confermano le prime impressioni. La proteina p53 ha potere oncosoppressore, in quanto regola i meccanismi che inducono un processo di autodistruzione nelle cellule tumorali.

Dunque alterazioni della proteina p53 possono favorire l’insorgenza del tumore. E tra le novità emerse in sede congressuale ci sono alcuni dati significativi: la proteina p53 mutata in almeno il 70% dei tumori umani, -con particolare incidenza nel cancro del polmone, del colon, del seno e dell’ovaio – e non nel 50% come era precedentemente ritenuto. Ma c’è di più.  La proteina p53 mutata non  solo smette di esercitare la sua funzione di inibizione delle cellule tumorali, ma addirittura favorisce la crescita del tumore:, e in questo caso le metastasi che si originano sono più aggressive e presentano una minor capacità di risposta ai trattamenti terapeutici.

 Alla luce di questo, i ricercatori ritengono che il ripristino della corretta funzionalità della p53 possa risultare utile in un’ampia casistica.

Al momento l’attenzione è tutta concentrata su due molecole recentemente individuate, PRIMA-1 e RITA, che, stando alle prime valutazioni, sembra siano in grado di interagire direttamente con la p53 mutata al fine di ristabilire le sue funzioni oncosoppresive.

di Valeria Torre