Dopo l’inaugurazione, avvenuta il 5 marzo all’Istituto di Cultura Giapponese (dove la proiezione del film Una tragedia giapponese di Keisuke Kinoshita è stata preceduta dalla presentazione del libro che accompagna la retrospettiva, ovvero “Nihon Eiga – Storia del cinema giapponese dal 1945 al 1969”), i giochi si sono spostati ora alla Sala Trevi, spazio caro ai cinefili romani in cui sono previste proiezioni e tavole rotonde fino a domenica 11 marzo, con l’eccezione della giornata di sabato. Tornando invece al 6 marzo, giorno che ha segnato il debutto della Sala Trevi in questo affascinante percorso di riscoperta del cinema nipponico, ben tre proiezioni si sono susseguite tra pomeriggio e sera. Se la fascia serale è risultata appannaggio di un vero e proprio “classico”, quale è senz’altro  I sette samurai di Akira Kurosawa, il pomeriggio era invece iniziato con un altro film di quel Kinoshita purtroppo non adeguatamente conosciuto in Italia, autore con Il mio primo amore (Nogiku no gotoki kimi nariki, 1955) dell’ennesimo melò delicato, struggente e critico verso le pieghe più velenose della società giapponese di allora. La (ri)scoperta più stimolante, però, è stata proprio quella di Conflagrazione / La fiamma del tormento  (Enjō, 1858), film proiettato anch’esso  nel pomeriggio: trattasi di uno dei lungometraggi più intensi del grande Kon Ichikawa, ispirato per l’occasione da uno dei romanzi più famosi di Yukio Mishima, Il padiglione d’oro.

Se Ichikawa in Italia è noto soprattutto per una pietra miliare del pacifismo su celluloide, e cioè L’arpa birmana da molti considerato il suo capolavoro, senza ombra di dubbio lo spettatore più sensibile a certe problematiche esistenziali resterà fortemente impressionato da Conflagrazione; un’opera in cui le sottili inquietudini e quel senso soffocato di ribellione ereditati dal testo di Mishima convergono in una forma elegante, studiatissima nella struttura narrativa a flashback, da cui derivano però momenti di tensione taglienti come rasoi. “Il padiglione dorato del tempio Shukaku è la cosa più bella del mondo”. Con questo pensiero fisso in testa un giovane balbuziente che ha appena perso in circostanze drammatiche il padre, Goichi, riesce a farsi ammettere proprio in quel tempio, cui il padre era molto legato, per proseguire il proprio studio del buddismo. Ma il progressivo svelarsi della natura meno  spirituale dei monaci, di segreti famigliari particolarmente sgradevoli e della grettezza di alcune persone, da lui incontrate durante la permanenza a Kyoto, lo spingeranno poco alla volta verso una decisione dai risvolti tragici. Su questo cupo affresco cinematografico così si è espresso, nel già citato volume di Nihon Eiga, il curatore della rassegna Raffaele Meale:  “Abbandonando la linearità di gran parte delle sue regie precedenti Ichikawa mette in scena una storia cupa e opprimente, centrando gran parte della sua attenzione sul montaggio: Conflagrazione non segue minimamente la cronologia dei fatti che vengono portati all’attenzione del pubblico ma si muove attraverso una ramificata e complessa struttura a flashback. In questo modo lo spettatore viene a contatto con la psicologia oppressa e disturbata del giovane Goichi in modo episodico, una tecnica che permette a Ichikawa di prosciugare il valore più prettamente  melodrammatico della vicenda a favore di uno stile asciutto, crudele, tagliente e al contempo estremamente elegante: un compendio filmato, verrebbe da dire, dell’approccio letterario di Mishima”.