“L’Algeria di Camus degli anni ’20 non è diversa dalla Calabria degli anni ’50, in cui sono vissuto”. Si presenta così Gianni Amelio alla conferenza stampa del film Il primo uomo, introducendo i temi del fim cari all’esistenzialista francese: la poverta’ assoluta, l’assenza del padre, la famiglia matriarcale retta  da due donne con una nonna molto severa, un maestro che oltre al suo mentore rappresentaerà una guida,  uno zio col quale il piccolo lavora d’estate alla fine delle elementari. Tutti echi dell’infanzia del regista calabrese. “Al punto che mi sono chiesto se il produttore che mi ha chiamato (Bruno Pesery, ndr) fosse al corrente della mia infanzia”. La coincidenza tra la vita di Camus e la propria ha permesso ad Amelio di scrivere la sceneggiatura, tratta dal romanzo incompiuto di Camus, con dialoghi provenienti dai  propri ricordi legati all’infanzia. “Nessuno dei dialoghi del film è presente nel libro di Camus – ha detto – ma sono tutti scritti da me e sono ricordi personali”. Il primo uomo, con una esigua e cauta distribuzione in 70 sale dal prossimo 20 aprile, distribuito da 01 Distributions, racconta del grande scrittore Premio Nobel che torna a casa in Algeria su richiesta degli studenti alla vigilia della rivoluzione del 1957. Un momento particolare in cui gli opposti estremismi dominano la scena, dove gli arabi rivendicano l’indipendenza compiendo attentati e dove la Francia risponde con una violenta repressione. Lo scrittore Jacques Carmery (alter ego di Albert Camus) sostiene che ogni popolo dev’essere libero, è per la rivoluzione, ma senza violenza. “La posizione di Camus è stata oggetto di attacchi fin dall’inizio – spiega Amelio -. La sinistra lo accusava di avere una posizione fascista, di non volere la libertà dell’Algeria e di volere il colonialismo. Sartre e molti altri intellettuali avevano una posizione netta: l’Algeria agli algerini. Camus, invece, che era algerino, aveva una posizione che riassumeva nel motto: no al terrorismo e sì alla soluzione politica”. Proprio per questo tema come per la sua attualita il delicato e difficile film di Amelio  è rimbalzato da un festival del cinema all’altro, incontrando diffidenza e resistenze a Berlino e Venezia dove, seppure fosse stato inizialmente selezionato, venne rifiutato come anche dal festival di Roma, accaparrandosi invece il Premio della Critica Internazionale al Festival di Toronto 2011 con la stampa algerina che si espressa favolevolmente verso la pellicola “quale  tentativo cinematografico di  storicizzare le due diverse posizioni”.

“Oggi assistiamo a conflitti dovuti alle difficolta’ di convivenza di varie etnie, – spiega il regista – a situazioni di conflitto che sfociano nella violenza e nel terrorismo”. Nel film viene posto in evidenza lo scrittore cinquantenne che torna in Algeria alla ricerca di un padre mai conosciuto, delle proprie radici, ma i cui ricordi dell’infanzia si intrecciano dignitosamente con la realtà senza indulgere alla nostalgia, rimanendo un film a sfondo politico, ma anche intimo e privato che  indaga tra le pieghe della vita privata di Camus. “Proprio questo rispetto nel cogliere e nell’evidenziare un Camus più privato che politico è una delle clausole stringenti della figlia che ne detiene i diritti, Catherine Camus, la quale ha avuto un ruolo di sorveglianza estrema  nel racconto del film, lasciando poi il regista libero nello stendere i dialoghi, nella sceneggiatura e nella possibilità di scegliere un attore come Jacques Gamblin (Carmery), viso scolpito e molto noto in Francia come uno dei prediletti di Claude Lelouche. Accanto a lui una madre giovane, Maya Sansa, che ha sottolineato come le movenze, le poche parole possono celare una enorme forza interiore e non una madre sottomessa. E poi la rivelazione di un bambino attore non attore nel ruolo del potagonista, Nino Jouglet (Carmery piccolo),  scovato per le strade della capitale francese, in gita a Parigi dalla provincia di Tolosa, senza quindi quelle estenuanti selezioni destinate a molti altri coetanei.

Nonostante le difficoltà di una coproduzione francoalgerina, i tempi esigui del montaggio ovvero cinque settimane, l’essere girato il film per lo più con quelle ambientazioni naturali che non fanno rimpiangere l’altro su Algeri il cui riferimento è d’obbligo, La battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, dove il punto di vista era prettamente cronachistico essendo girato a caldo sulla scia degli eventi, il primo uomo è “quasi un documentario girato con la macchina a mano avvalendosi di personaggi non protagonisti, voluto dal governo algerino e divenuto una apologia cinematografica” evidenzia ancora il regista.

Una curiosità. Nella locandina del film, in cui campeggiano i nomi di Amelio e Camus, tutto ciò corrisponde a una scelta ben precisa del regista:  “Un doveroso omaggio, accostare il mio nome a quello di Camus, ed è stato far sì che la mia storia fosse un pò la sua storia non per presunzione, ma per umiltà”.

A cura di Monica Refe