Come “Limite”, il titolo dell’ultimo libro di Serge Latouche, così “Limitare” è il motto di rinnovamento iniziando fin da piccoli per consolidare il seme del vero cambiamento di crescita, per i futuri cittadini della società ecologica di domani.

Mentre tutti dicono che per uscire dalla crisi economica bisogna far ricorso alla crescita, nella sua ricetta per la ripresa, l’ingrediente principale è invece la decrescita?

Importante è stato il mio percorso di studio/ricerca da Marx a Illich. Ci sono due correnti della decrescita: la bio-economia, l’economia ecologica, la termodinamica, corrente di Georgescu-Roegen, una corrente composta da economisti che mettono in discussione l’economia attraverso l’ecologia. L’altra corrente è l’anti-sviluppo, esperti che hanno vissuto nel terzo mondo e che hanno rimesso radicalmente in questione la crescita dello sviluppo ispirandosi al filosofo e pedagogista Ivan Illich. Nel 1964/66 ho realizzato la mia tesi sullo Zaire, una tesi marxista: “La pauperisation à l’echelle mondiale”, basata su uno sviluppo pianificato attraverso un’accumulazione del capitale più rapida e la scorciatoia tecnologica.
Oggi denuncio la schizofrenia di allora, della quale eravamo affetti fino ad essere intossicati dalla crescita e dallo sviluppo e ne denuncio allo stesso tempo i danni e le catastrofi provocati. Mi ero resoconto chiaramente che lo sviluppo stava e sta per distruggere la nostra società. serge
Da qui è iniziata la mia crisi: ho perso la fede nell’economia, nell’idea di crescita, di sviluppo e ho cominciato il mio cammino di Damasco. Così dopo il ’68 ho cominciato ad insegnare la decostruzione critica dell’economia politica, compresa quella di Marx. Se da un lato l’Africa rappresenta il 2% del Pil mondiale, dall’altro alti sono i suoi livelli nella capacità di produzione della gioia di vivere, mentre noi siamo sempre meno capaci di “fabbricarla”. In quei posti si sopravvivere grazie alla solidarietà, mettendo a disposizione di tutti il poco che si ha, arrivando a produrre la ricchezza attraverso la “grande ricchezza relazionale”. Questo dovrebbe guidarci e far riflettere su ciò che potrebbe essere un’idea di soluzione per la crescita: con meno beni materiali e più beni capaci di portare gioia di vivere si può giungere alla ripresa. A quel punto ho pensato che se si rigetta lo sviluppo e la crescita, la decrescita diventa un’alternativa. La decrescita non significa crescita negativa, è uno slogan che vuole rompere gli stereotipi della crescita, del fondamentalismo basato sullo sviluppo e dell’economicismo. Si dovrebbe parlare di a-crescita, come si parla di a-teismo, più che di de-crescita. Si tratta proprio di abbandonare una fede o una religione, quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo, di rigettare il culto irrazionale.

Il suo impegno sta entrando sempre più in contrasto con lo sviluppo e il suo approccio ecologista delle cose?
Oggi stiamo vivendo la sesta estinzione delle specie, la quale è provocata dall’essere umano e che l’essere umano stesso rischia di esserne la vittima. Il mio slogan è: “Vivere con meno è facile. Persino divertente”.

Ci sta dicendo quindi che stiamo arrivando alla fine della globalizzazione?
Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà globale, ecologica, culturale e sociale.
Pensiamo all’Impero Romano nel V secolo quando ebbe un crollo, ma non morì, continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, però ci fu un declino nel tempo. Ecco cosa succederà a noi.

“Bisogna limitare i bisogni per soddisfarli davvero”.

Quindi meno lavoro e più agricoltura?
Un mondo di abbondanza frugale. Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli. In una società sana non esiste questa forma di patologia dell’insoddisfazione. Ci può essere una forma di seduzione, ma non un’insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità, convincendoci che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo. Ridefinire il fine della pubblicità è una delle prime misure della società della decrescita, non si tratta di cancellarla, ma di tassarla fortemente, questo si, come strumento di manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell’immaginario.
L’unica via all’abbondanza è la frugalità, ma non è contraddittorio?
Sembra una contraddizione, anzi un ossimoro, perché abbiamo ancora il “software” della crescita. Siamo totalmente colonizzati dall’ideologia della crescita che ci ha fatto credere che viviamo in una “società dell’abbondanza”, mentre invece viviamo in una società di scarsità. La società dei consumi è una società della frustrazione perché dobbiamo sempre consumare. L’unica possibilità per limitare i nostri bisogni e desideri, si chiama frugalità. Se siamo frugali allora possiamo soddisfare i nostri bisogni. La “società della decrescita” presuppone la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e il ridurre il saccheggio dei nostri beni naturali/ambientali.

Professore ha fiducia nella ripresa?
C’è sempre speranza! La ripresa può essere attuata grazie alle 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica. Le R basilari, il Rivalutare: rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il Rilocalizzare: Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico, il Ridurre: Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

La nostra quindi è una società di crescita senza crescita, in cui noi siamo gli artefici della distruzione dell’ambiente, della cultura, dell’educazione e per questo dobbiamo uscire da questa società e inventare una società di prosperità senza crescita, questo dovrebbe essere il nostro massimo obiettivo. – “Dobbiamo essere come partigiani della decostruzione, riconvertendo ogni cultura senza pesticidi, cibi stagionali, consumando cibi a km zero, usare l’energie rinnovabili, riducendo gli orari di lavoro per lavorare meno e vivere tutti meglio, per ritrovare il senso del tempo libero e divenire cittadini soddisfatti. Essere libere volpi nel libero pollaio. Creare un’Europa delle piccole polis, bioregioni democratiche con una medesima lingua in un sistema piramidale, confederazioni coerenti con la realtà locale -.