Soltanto due settimane fa l’Economist aveva invitato Mario Monti a candidarsi alla presidenza del Consiglio dell’Italia, descrivendo una sua eventuale vittoria come uno scenario «potenzialmente molto buono» e concludendo che «se Monti tiene al suo paese, questo è il momento di venire allo scoperto, farsi sotto e invitare altri centristi a unirsi a lui. Questa è una rara opportunità per cambiare le cose». Con un nuovo articolo pubblicato ieri l’Economist è tornato sul tema per dire che oggi le possibilità di Mario Monti di tornare a capo del governo sembrano sempre più deboli, principalmente a causa della strategia con cui ha deciso di annunciare e gestire la sua candidatura.

L’Economist critica l’annunciata decisione di Monti di correre con una lista unica al Senato e più liste alla Camera definendola «a muddle», un guazzabuglio: la decisione si spiega con ragioni tecniche di legge elettorale, che avvantaggia formazioni unitarie al Senato ma non alla Camera, dove alcuni tra i partiti che sostengono Monti vogliono correre da soli e contarsi. La rivista ricorda che la decisione di presentarsi alla Camera con più liste ha fatto perdere a Monti il sostegno di «un alleato importante» come il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, convinto che una soluzione simile non possa funzionare.

La rivista ha criticato anche la decisione del presidente del Consgilio di non candidarsi personalmente: Monti infatti è senatore a vita e fa già parte del Parlamento, ma avrebbe potuto dimettersi (sarebbe stata necessaria l’approvazione del Senato) e da normale cittadino avrebbe potuto presentare la sua candidatura. In questo modo si sarebbe sottoposto direttamente al giudizio degli elettori, contrariamente a quanto accadrà ora che il suo nome sarà presente soltanto nel logo delle liste che lo sostengono e come “capo della coalizione”, una figura che non trova riscontri nella Costituzione italiana.

Sempre secondo l’Economist Monti sbaglia a non impegnarsi in prima persona e a far leva sui suoi meriti personali, visto che gran parte degli italiani lo stima e lo rispetta personalmente (la rivista cita un recente sondaggio di La7 che dà il suo gradimento al 51 per cento). Al contrario, Monti punta su un programma che si propone di continuare l’operato di governo di questi tredici mesi, concentrato su tagli e tasse, doloroso e mal sopportato da moltissimi italiani. Allo stesso tempo i partiti che sostengono Monti non godono di molta popolarità: il più grosso tra loro, l’UdC di Pier Ferdinando Casini, politico di lunghissimo corso, può ottenere al massimo il 10 per cento dei voti, a cui – secondo alcuni sondaggi – si potrebbe sommare un altro 10 per cento portato dall’appoggio a Monti.

A detta della rivista inglese Mario Monti e i suoi sostenitori possono puntare a raggranellare consensi nell’ampia fetta di indecisi e avvalersi della situazione di relativo equilibrio tra le forze in campo. Le liste che sostengono il presidente del Consiglio infatti potrebbero ottenere almeno il 15 per cento dei voti, guadagnandosi così un potere contrattuale decisivo soprattutto al Senato, dove non esiste un premio di maggioranza a livello nazionale e la forze sono più equilibrate tra loro.

Secondo i recenti sondaggi il PD insieme a SeL otterrà una larga maggioranza alla Camera, ma Monti e i suoi alleati potrebbero ottenere i voti sufficienti a togliere al centrosinistra il controllo della Camera e imporsi così come fondamentali alleati di coalizione. L’analisi dell’Economist si conclude riportando una frase di Berlusconi, che ha invitato a non votare per Monti dicendo che sarebbe semplicemente una «stampella del PD»: secondo la rivista britannica si tratterebbe di un giudizio brutale ma che potrebbe rivelarsi preciso.