Lo spettacolo cui abbiamo assistito ieri al Teatro di Documenti in Via Zabaglia 42, Roma, è di quelli che possono sortire un effetto assai diverso sul singolo spettatore, a seconda che egli si faccia catturare o meno dalla natura e dal particolare background delle storie portate in scena. A metà tra teatro di narrazione e conferenza colta, Bel suol d’amore.  Libia – Italia 1912/2012: Un secolo di storie è un viaggio nel tempo personalmente molto apprezzato, per la sua capacità di emozionare, coinvolgere, far riflettere sugli aspetti più controversi e sofferti di quegli episodi che bene o male hanno segnato, nel bacino del Mediterraneo,  la storia del Novecento.
Due interpreti in scena. Lo spettacolo inizia con Piera Fumarola, attrice che avevamo già conosciuto in ruoli brillanti (nelle vesti di clown, per la precisione), intenta a sfilare davanti al pubblico con le differenti bandiere che hanno caratterizzato la storia della Libia, dall’indipendenza in poi. A lei ben presto si aggiungerà  l’altro protagonista di tale rievocazione, Alessandro Belardinelli, per dar vita insieme a un sostanzioso iter di letture, sketch, siparietti stranianti, accompagnato nella sua considerevole durata (scelta forse limitante per quel pubblico meno avvezzo a certi argomenti) dalla riproposizione, sulle pareti del teatro, di foto d’epoca e di brevi ma assai toccanti filmati: ne sono protagonisti alcuni di quegli italiani, ormai attempati, che un tempo vivevano in Libia per essere poi costretti al rimpatrio con l’ascesa di Gheddafi, ed anche alcuni libici disposti ad offrire il loro punto di vista sul passato come pure sui fatti più recenti; in primis sull’avvento della cosiddetta “primavera araba”, in un regime che dall’esterno poteva apparire monolitico. Lo spessore umano e la  qualità di queste interviste lasciano intendere quanto approfondite siano state le ricerche di Anna Ceravolo, autrice e regista di uno spettacolo che con ogni evidenza doveva starle molto a cuore. L’aggressione coloniale di stampo imperialista effettuata dal Regno d’Italia nei confronti di un territorio che ancora apparteneva all’Impero Ottomano. L’orgogliosa
resistenza della popolazione libica, progressivamente stroncata da militari spietati come il generale Graziani, che hanno agito facendo ricorso a repressioni inaudite e a ripetute violazioni dei diritti umani. L’amministrazione più oculata di Italo Balbo, asso dell’aviazione e fascista della prima ora inviso allo stesso Mussolini per il suo carisma. La colonizzazione della Libia, da parte di famiglie contadine incoraggiate in ogni modo dal fascismo a stabilirsi lì. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’apertura di un fronte in Nordafrica, con gravi conseguenze per la popolazione locale, sia autoctona che immigrata. Il destino delle famiglie italiane rimaste in Libia, dopo l’indipendenza del paese. La presa del potere da parte del celebre Colonnello e gli atti autoritari da lui compiuti nei confronti dalla minoranza italiana. Lo sfaldarsi del regime e gli interessi delle potenze straniere, votate più che altro a mettere le mani sulle risorse petrolifere del paese. Queste sono  soltanto alcune delle tappe di un percorso articolato e molto ben documentato, che per quanto abbiamo potuto osservare di persona coinvolge nel profondo quegli spettatori, talora presenti in teatro, che hanno vissuto sulla loro pelle tale condizione, riuscendo però ad incuriosire anche la parte di pubblico estranea ai fatti ma sensibile alla problematicità di certe esperienze storiche. Esperienze qui rappresentate senza smussarne gli aspetti più drammatici, ma con la capacità (ben ripartita tra l’autrice e i due protagonisti) di far partecipe il pubblico del ricordo agrodolce che questi italiani, vissuti all’estero in una situazione ambientale non sempre agevole, continuano a custodire nel profondo del loro animo. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro di Documenti fino al 27 maggio.