“C’era una volta”. Tutte le fiabe cominciano così, ma solo una prosegue con “una bambina bianca come la neve rossa come il sangue e bruna come l’ebano”. Un tuffo nella letteratura dei fratelli Grimm, nella filmografia della Disney o in questo stesso film, e vi rimanderà ad una sola protagonista: “Biancaneve”. “Siete sicuri di conoscere la vera storia ?” (lo leggiamo sui cartelloni promozionali). Questo è certo, conosciamo la vicenda originale, ma contrariamente alle aspettative qui c’è ben altro dell’incipit a farci immergere in quello stesso bagno di sogno. Bastano infatti i primi 10 minuti, in stop motion, per tornare bambini; non si tratta di buonismo, ma solo di una saggia scelta stilistica (“alla Del Toro” se avete in mente l’inizio del suo Il labirinto del Fauno). La fiaba comincia nella nebbia di un flash back incantevole, e ci catapulta nella sfarzosa reggia della splendida narratrice, la strega Grimilde, nelle vesti della sempiterna e camaleontica Julia Roberts, o forse avrei dovuto dire l’inverso? Fatto è che la “ex” più bella del reame riesce a coinvolgerci dalla prime battute, facendoci dubitare che “la storia sia incentrata su Biancaneve”; tuttavia la diciottenne Lily Collins che la impersona (agli esordi in The Blind side e Abduction) le ruba la scena, è deliziosa, come da tradizione, bianca come la neve e con la bocca di fragola; e conserva in se lo spirito della fanciulla, abbastanza innocente da contenere il suo classico alter ego, risoluta quanto basta per essere una ribelle eroina dei nostri giorni, tanto da mettere (non solo metaforicamente) “in mutande” l’inetto principe (azzurro) Alcott (Armie Hammer), forse il più debole dei personaggi di una storia tutta al femminile. Si sa i principi azzurri hanno sempre avuto un ruolo marginale all’interno delle fiabe: ar
rivano, salvano la principessa e uccidono il drago, ma questa volta Tarsem, il regista, vuole cambiare il finale. Prima che ciò accada, questa rispettosa rivisitazione si fregia di altri classici intramontabili: cosa sarebbe Biancaneve senza i sette nani? Ma sono abili banditi, altro che instancabili minatori! Il tutto si gioca tra le battaglie (non solo “navali”) della regina crudele, che nonostante l’opulenza dei balli e delle feste in maschera è sola, e può contare soltanto sul suo stesso riflesso; ed è davanti allo “Specchio Specchio” delle sue brame (che in originale da il titolo al film, “Mirror Mirror” per l’appunto) che trama per sposare il bel principe, che viene letteralmente spinto tra le sue braccia e rilanciato rocambolescamente tra un fendente e l’altro in quelle di Biancaneve. Manca il cacciatore (volendo dare uno sguardo al futuro, sarà protagonista dell’altro blockbuster dedicato allo stesso tema, Snow White and the Huntsman, in uscita a giugno negli USA) e la storia della mela sembra essere messa da parte … sembra! La forza della scenografia artigianale è esaltata dalla computer grafica, ma dove la CG non arriva c’è la magia della sartoria che trasforma i nani in “giganti” e veste le protagoniste, con gli abiti e i pizzi della stilista giapponese Eiko Ishioka, una gioia per gli occhi di ogni donna che sappia ancora sognare. La pellicola ha come temi il potere, il tempo che passa inesorabile (“godetevi” i rimedi per “l’eterna giovinezza” della regina!) e l’amore che a detta della strega è sempre complicato. Il lungometraggio di Tarsem non è esente da difetti: l’ironia a volte rischia di stancare, ma è questo un difetto perdonabile quando ci si trova davanti ad un film che ci insegna che le favole non possono essere riscritte ma reinterpretate, sempre che abbiano un finale dove “tutti vissero felici e contenti”.
A cura di Francesca Tulli