E’ sempre notizia da salutare con entusiasmo allorché un regista europeo di talento, sbarcando a Hollywood, riesce a non farsi dominare bensì domina l’immensa macchina produttiva, di cui è stato posto al timone. Sbarcare a Hollywood. Stare al timone. In questo caso le metafore marinaresche ci appaiono particolarmente appropriate, perché tra i punti di forza del film in questione, Contraband, vi è anche l’insolita ambientazione marittima, con alcuni dei tanti intrighi che maturano proprio a bordo del cargo dove i contrabbandieri operano alacremente, affinché la loro operazione più audace e rischiosa abbia successo. E a dirigere questo atipico “action movie”, dalle robuste venature “noir”, è stato chiamato per l’appunto un islandese di origini spagnole, Baltasar Kormákur. Non sorprenda il tocco in qualche modo “esotico”: l’Islanda è una nazione piccola che non produce molti film, ma tra quei pochi vi sono spesso dei gioiellini. E lo stesso Kormákur, sin dallo spumeggiante lungometraggio d’esordio 101 Reykjavík (arricchito peraltro da una presenza “almodovariana” di spicco, quella dell’attrice protagonista Victoria Abril), ha dimostrato di saper entrare in contatto coi generi cinematografici rimaneggiandoli con una certa disinvoltura. La bravura del cineasta nordico non si limita poi alla regia, essendo in patria un attore e produttore di successo. Conviene quindi precisare che Contraband è proprio il remake in terra americana (con tanto di avvincente parentesi a Panama) di un piccolo cult movie, quel Reykjavík Rotterdam diretto dal sodale Óskar Jónasson, che il nostro eclettico Kormákur aveva sia interpretato che contribuito a produrre.
Per il resto non vi è dubbio che un simile remake sia anche confezionato su misura dei due grossi calibri, Mark Wahlberg e Kate Beckinsale, reclutati per esserne i protagonisti. E per quanto Wahlberg non sia certo un mostro di espressività, la sua fisicità e lo sguardo deciso sono qui funzionali a un personaggio, il classico duro in cui la determinazione corrisponde però a un’etica di fondo, che ben figura in un cast quasi tutto al maschile e senz’altro impreziosito da valide presenze attoriali: su tutti Ben Foster, Giovanni Ribisi e Lukas Haas, capaci di dar vita a gente spigolosa che sa il fatto suo. Al protagonista Mark Wahlberg, nei panni del leggendario contrabbandiere Chris Farraday, tocca sbrogliare una difficile matassa, dovuta al fatto che il giovanissimo cognato Andy (ovvero il promettente attore Caleb Landry Jones, già visto in azione tra gli X-Men e in Non è un paese per vecchi) l’ha combinata davvero grossa, mettendosi a contrabbandare droga per i tipi sbagliati e perdendo la loro merce. Lo scaltro Chris si vedrà pertanto costretto ad accettare l’ennesimo lavoretto poco pulito, proprio nel momento in cui vorrebbe evitare problemi alla propria famiglia, ed in particolare alla deliziosa moglie Kate (una Beckinsale il cui consueto fascino appare persino controllato, nel look e nei modi, come a permetterle di lavorare intelligentemente sul potenziale drammatico del personaggio), che correrà non pochi rischi per colpa dell’avventato fratellino. Ritmo sostenuto, magnifiche scene d’azione sia a terra che in mare, confronti secchi e aspri tra i protagonisti, amicizie tradite o comunque in crisi, legami famigliari che spingono a scelte estreme: elementi come questi rendono Contraband un “action movie” con l’anima, perfettamente in grado di sedurre lo sguardo (ottima peraltro la fotografia) e appassionare alle dinamiche del racconto. Un po’ di coraggio in più nello script, una maggiore attenzione al background psicologico, avrebbero avvicinato ulteriormente il film a piccoli capolavori come quelli di James Gray o come Drive di Nicolas Winding Refn, pellicole al cui valore ci si accosta anche per la volontà, qui appena accennata, di immergere il senso dell’onore e quello della famiglia in un vibrante sottofondo noir.