Quello firmato da Stefano Chiantini è un film coraggioso e inusuale sotto svariati aspetti, a partire dal piano distributivo, che lo ha visto esordire regolarmente nelle sale in pochissime città per rincorrere invece altri canali di diffusione, senz’altro più innovativi. Uno di questi è il web: dal 16 maggio il film è visibile per intero, in streaming, grazie a Repubblica.it dove per il momento lo si può rintracciare al seguente link http://video.repubblica.it/isole/isole-il-film/94913/93295. Mentre a Roma, città in cui la prima per il pubblico organizzata al Nuovo Sacher è stata seguita da una folla entusiasta, si è fatto in modo che nei giorni successivi gli spettatori di quel cinema, dove è ora in programmazione lo stratosferico Hunger di Steve McQueen, ricevano in omaggio alla cassa un dvd di Isole. Tutto ciò, nell’ottica di un paladino del cinema indipendente italiano come Gianluca Arcopinto e della produttrice Selvaggia Sada, che insieme hanno orchestrato un lancio così ardito, dovrebbe assicurare al film di Chiantini un tam tam mediatico e un circolo virtuoso tale, da garantirgli la dovuta visibilità ed un riscontro economico a crescere. Speriamo con tutto il cuore che sia così. Perché in un’annata che da noi ha visto pochi autori emergenti esprimersi ad alto livello, quantomeno fino ad ora, il film del giovane regista di origini abruzzesi pare destinato ad essere una vistosa e lodevole eccezione.
Rispetto a L’amore non basta, suo precedente lungometraggio con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo e Alessandro Haber tra i protagonisti, il sorprendente Isole è per Stefano Chiantini il film della maturità, di una evidente crescita autoriale; sia a livello stilistico che di incisività del racconto, racconto reso peraltro più intenso, come in passato, da interpreti di provata bravura. Ma se in L’amore non basta, ambientato nel natio Abruzzo, l’indubbia capacità di creare atmosfere sospese e far parlare i luoghi si rifletteva solo ad intermittenza nel saper scavare dentro i personaggi, pare che qui alle Tremiti un equilibrio perfettamente armonico sia stato infine raggiunto: al carattere evocativo e in parte selvaggio delle location si sposa infatti una sensibilissima ricognizione di stati d’animo, di sofferenze individuali candidamente ammesse nella fragilità dei personaggi principali, ai quali Asia Argento, Ivan Franek e Giorgio Colangeli hanno saputo assicurare la giusta temperatura emotiva. C’è la ragazza che ha smesso di parlare in seguito a un grosso trauma e che in paese chiamano pazza. C’è il lavoratore straniero, proveniente dall’est europeo, la cui vita diventa ogni giorno più difficile. C’è l’anziano e orgoglioso prete di paese che sopporta a fatica le soffocanti attenzioni della sorella ma vorrebbe essere più autonomo, nonostante l’aggravarsi del suo stato di salute. Tre monadi con grosse difficoltà a comunicare tra loro e con gli altri, il cui incontro produce un’improvvisa e provvidenziale scintilla in quella cornice isolana di cui lo spettatore, attraverso lo schermo, arriva quasi a percepire il vento, la salsedine, i repentini cambi climatici di una aurorale primavera. Tutto ciò grazie alla regia ispirata di Chiantini, ovvio, alla quale si devono però sommare contributi tecnici di prim’ordine, su tutti quello del direttore della fotografia Vladan Radovic (allievo di Rotunno) e quello di Luca Benedetti al montaggio. Accade così che queste tre isole perse in un’isola, che questi tre personaggi in cerca di amore più che di autore, riescano a lasciare sullo schermo un segno, un’impronta per niente superficiale; così come lasciano il segno le scene, indimenticabili, in cui una Asia Argento visibilmente attratta dal proprio personaggio duetta
con le api da lei allevate nell’arnia.