Il fenomeno sociale di Facebook è a tal punto pervasivo che milioni di semplici risparmiatori vogliono acquistare le azioni della pagina blu e bianca che accompagna le loro giornate. Ogni considerazione economica sull’ingresso in Borsa dell’azienda di Mark Zuckerberg, previsto per il 18 maggio e introdotto da un video di spiegazione cool e noiosissimo, è subordinata alla frenesia per un evento dall’alto coefficiente emotivo, tanto che gli utenti non vogliono che la grandiosa operazione rimanga una cosa fra banche d’affari. Per non fare un torto alle centinaia di milioni di user fedeli, il social network di Palo Alto ha riservato una percentuale delle azioni ai privati che reclamano di essere parte del gioco miliardario che porta la compagnia a Wall Street. La stima che l’azienda dà di se stessa si aggira fra i 77 e i 96 miliardi di dollari, una quotazione che polverizza quella iniziale di Google, che nel 2004 aveva sconvolto gli operatori. E c’è di più. Il valore d’esordio di Facebook è sulla stessa scala del valore attuale di aziende come Amazon, McDonald’s e Hewlett-Packard, con la differenza che il social network al momento non può minimamente competere con gli utili di questi colossi della Borsa. E’ in questo baratro fra valore percepito e profitto reale che gli osservatori temono il rischio di una bolla speculativa analoga a quella esplosa alla fine degli anni Novanta. Ma attorno all’ingresso in Borsa di Facebook cresce anche una bolla emotiva generata dalla natura di un prodotto che accompagna quotidianamente 525 milioni di persone (si arriva a 900 se si considerano anche gli utenti occasionali).

Generare e quotare in Borsa un fenomeno sociale non è come attrarre investitori per un qualsiasi altro prodotto industriale, e il modo con cui il social network farà soldi nel futuro deve ancora essere dimostrato. Anche perché, ricordano gli scettici di Facebook, gli utenti (gli stessi che ora bramano le azioni) sono la merce dell’azienda, non soltanto i suoi fruitori. La bolla emotiva del social network non può essere separata dalle domande che l’azienda pone in termini di privacy nel considerare i lati oscuri del fenomeno sociale più ricco della storia.