Il secondo elemento di fragilita’ della area valutaria europea, puo’ essere riscontrato nell’analisi dei current account dei Paesi membri. La mobilita’ dei capitali, ha fatto si’ che negli anni fosse data la possibilita’ ai Paesi emergenti di ricevere finanziamenti esteri per poter crescere e svilupparsi, vista la scarsita’ di tali risorse. Tuttavia, tali politiche favorirono la speculazione, poiche’ gli investitori che puntarono su questi Paesi incrementarono il benessere economico troppo velocemente, a tal punto che la crescita presto si trasformo’ in inflazione e quindi salari piu’ alti. Quest’ultima conseguenza rese gli investimenti degli speculatori meno remunerativi, perché la competitivita’ del Paese era svanita con l’aumento del livello dei prezzi. Pertanto il successivo deflusso degli investitori ha messo in crisi e non poco l’intero sistema.
Analizzando meglio la situazione, in Europa si poteva registrare un forte surplus di current account in Paesi quali: Lussemburgo, Finlandia, Olanda, Germania, Belgio e , in misura molto ridotta, la Francia. Questi ultimi esportavano i loro capitali in Portogallo, Grecia, Spagna e in misura minore in Irlanda e Italia.
A questo punto i Paesi core erano incentivati a sfruttare i rendimenti maggiori offerti nei Paesi periferici dell’euro. Inoltre, l’afflusso di capitali in questi Paesi porto’ i tassi di interesse verso livelli relativamente piu’ bassi rispetto a quelli nei Paesi forti. Pertanto, l’abbondanza di risorse e bassi tassi di interesse incentivava l’indebitamento sia pubblico che privato. Quest’ultimo aspetto metteva in moto un boom di consumi e investimenti che generarono pressioni inflazionistiche, date soprattutto da un incremento del costo del lavoro, il tutto fece diminuire le esportazioni.
La conseguenza ultima del processo di avvitamento si conclude con un aumento del deficit di current account (risultato delle esportazioni meno le importazioni di beni e/o servizi) che porta ad un peggioramento sostanziale dei fondamentali economici e della loro sostenibilita’.
Il tutto puo’ essere sintetizzato in una parola sola: sudden stop. Tra il 1999 e il 2008, rispetto al PIL, il credito erogato a imprese e famiglie passo’ dal 84% al 115% in Grecia, in Irlanda addirittura dal 103% al 207% e in linea con questi aumenti spropositati anche la Spagna, passo’ dal 111% al 214%.
Facendo il punto, l’Eurozona, che non soddisfa le “condizioni mundelliane” dell’area valutaria ottimale, venne investita dalla crisi finanziaria mettendo a nudo problemi strutturali di current account tra Paesi core e quelli periferici che la espone tutt’ora al rischio di sudden stop e ad una crisi ancora peggiore.
GIOVANNI MARIA LEPORI